Centro Studi Albero del Mondo. Huun huur tu


La Tuva, tra Mongolia, Cina, Russia e mito
nei canti degli Hunn Huur Tu


 Nome:  Huun Huur Tu
 Componenti:  Kaigal-ool Khovalyg, Sayan Bapa, Radik Tyulyush, Alexei Saryglar
 Provenienza:  Tuva
 Genere:  Etnico (canto diplofonico)
 Links:  http://www.huunhuurtu.com/

Venite di nuovo con noi per un nuovo viaggio.
La formula del tragitto, anche virtuale, ci convince che potreste con noi appassionarvi nel trovare e capire un po' di più popoli, usi, tradizioni, matrici culturali a noi vicine, nonché (ma non è il caso di questo articolo) sfumature di quello che è il grande popolo indoeuropeo.
Attenzione però: per questo viaggio non vi chiediamo di salire sul nostro treno (spesso Orient Express come nel caso di Ungheria o Siberia), ma di abbandonare ogni trasporto meccanico e salire su un cavallo, un robusto cavallo di ceppo mongolo o tuvino: infatti in Tuva il treno, come deciso da un referendum popolare, non è stato voluto. Nell'immediato post rivoluzione russa (Rivoluzione d'Ottobre, 1917) la Tuva era una regione in balia di Mongolia e Cina ed accettò, nella speranza di ottenerne una difesa, di aderire all'Unione Sovietica di Stalin. Quest'ultimo, in cambio, adottò la solita purga politica per piegare il Partito comunista locale a lui diffidente, ed in seguito tentò di annientare la grande anima del Paese, anima trascendentale, sciamanica e buddista, tentativo che, protrattosi per decenni, fallì grazie alla radicata e secolare potenza spirituale dei tuvini.
La crucialità dei confini ha sicuramente convinto Stalin che non avrebbe avuto senso adottare una politica diversa: tuttavia la Tuva da allora appartiene (ma è eufemistico parlare di appartenenza nel caso di un popolo così fortemente orgoglioso ed autonomo) alla Russia, oggi Federazione.
Era il 1944 e l'Europa stava cambiando, forse per sempre. Ma quel popolo, nonostante l'annessione, non si inchinava ad un impero a cui non apparteneva. Taiga e steppa, monti e praterie infinite. Questa è la Tuva. E canti… canti sciamanici e corali, polifonici, a cappella o strumentali, perché il nostro viaggio è innanzitutto musicale e da qui in avanti, in sella ad un cavallo, percorreremo sulle note dei maggiori figli della Tuva le steppe al confine tra l'impero di Temujin e la Siberia.
Huun Huur Tu. Questo è il nome di uno dei più radiosi progetti sviluppati in quella terra dove amare il cavallo, l'aquila, lo yak o qualsiasi animale è adorare le divinità a cui porgere doni o rispetto, anche nei momenti in cui si deve per il sostentamento ucciderne un capo, cacciando la selvaggina non per sport ma per necessità.
Di questo cantano gli Huun Huur Tu nelle loro ballate della steppa: canti in cui i cavalli, la vita in cerchio dentro una yurta, il "misticismo" pagano, sono quotidianità da preservare nel tempo per mantenerne intatto il valore di dono ricevuto.
La particolare tecnica che questi quattro fantastici interpreti offrono al mondo è, credetemi, complicata ed inverosimile.
Xöömej è il suo nome, e si manifesta in una serie di suoni che, nati nel profondo della gola (deep throat,) nell'uscirne si moltiplicano diventando a volte anche tre modulazioni differenti per inflessione e timbrica.
Se avvertite un flauto tra una vocalità greve e vibrata non pensate ad uno strumento accompagnatore: lo xöömej è questo. Detto così appare quasi semplice, in realtà è al limite del miracolo umano. Kaigal-ool Khovalyq fonda nel 1992 gli Huun Huur Tu insieme ad Alexander e Sayan Bapa e con Albert Kuvezin completano un quartetto meraviglioso. Insieme a loro gli strumenti tipici della loro terra: il cugino dei nostri archi, l'igil, simile ad un violino, oppure strumenti bicordi, o comunque simili ad altri tipici in Tibet, Cina o Mongolia, come il byzaanchi, il khomuz o tuttavia strumenti a corda con origini perse nelle nebbie dei tempi a cui si aggiungono percussioni peculiari della musica sciamanica. Ecco il tamburo che detta i tempi del viaggio dello sciamano, il tamburo che scandisce i passaggi tra mondi e totem.
In pochissime parole, bisognerebbe spenderne ben altre, gli Huun Huur Tu sono ambasciatori di una terra lontana, anche geograficamente, ma invece sorella nel manifestarsi su temi tipici della musica sciamanica al popolo Sami, a quello siberiano o, valicando lo stretto di Bering, alle tribù native del nord-America. C'è un lontano, arcaico, residuo d'Europa anche in quelle lande somaticamente a noi dissimili ma che, a livello storico e culturale, ha invece intrecciato la propria atavicità con gli indoeuropei che verso oriente ampliavano il proprio dominio. Nonostante le derive etno-linguistiche ci vedano oggi lontani, è bello immaginare che negli archetipi della nostra storia questi popoli abbiano condiviso situazioni anche di reciproco arricchimento.
Non è un caso che l'estremo Oriente veda il cinese come ceppo, anche linguistico, prevalente ma che nella Tuva, al contrario, si incontri un ceppo linguistico turco (uralo-altaico), deriva di ondate nei secoli caratterizzate da invasioni reciproche tra indoeuropei e barbari asiatici. In Tuva si trovano tutt'oggi tumuli che identificano la storia (se non la preistoria) del popolo come un'incognita di presenze anche indoeuropee provenienti dal nord-ovest siberiano.
Meravigliosa la cosmogonia, ancor oggi da alcuni "adottata", che vuole la nascita del mondo ancora una volta dal mare, unendola a tante cosmogonie che noi, mossi da spirito pagano, percepiamo vicine; noi che lontani, nel Mediterraneo, nei fiumi, nei laghi, troviamo vita e divinità.
In realtà la musica degli Huun Huur Tu è molto più immediata e semplice: viva dell'immediatezza di un canto che è sì popolare ma che ha racchiuso in sé segreti atavici sul suo impiego, studio ed uso legato a quel canto e a quella realtà. Ci sono una serie di considerazioni che rendono il nostro viaggio l'inizio di una scoperta di ulteriori temi e mete a cui vorremo portarvi con link diversi ed affascinanti, link mentali ma che possono in rete trovare sazietà al vostro sapere.
Iniziate però questo viaggio idealmente a cavallo, scoprendo la bellezza dei quattro figli della taiga, dei loro costumi coloratissimi, dei loro strumenti, degli amici che in tanti album li hanno affiancati, ma su tutto, sempre su tutto, la voce incredibile del canto xöömej.

Nicola Tenani
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