Dalla psicologia del profondo
al Neopaganesimo

All'inizio del secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle, Freud, fondando la scuola psicanalitica riconosceva un nuovo statuto e una nuova possibilità di esistenza al mito, egli chiamò in causa oltre all'eroe Edipo, anche Eros e Thanatos, per dare forma ai due elementi, alle due forme primordiali dell'istinto, creatività-sessualità e distruttività-morte. Jung, inizialmente seguace di Freud e in seguito fondatore di una scuola psicanalitica propria, fece molto di più, oltre ad accettare l'inconscio come "contenitore" del rimosso e sorgente del mondo onirico gettò uno sguardo più in profondità scoprendo quella che possiamo definire la "matrice comune" delle forme immaginali, l'archetipo, filo conduttore di una "unità significante".
Entrando nel particolare, per quanto può esserci concesso da questo breve lavoro, Freud e Jung scoprirono che un singolo evento traumatico poteva "attirare" a se tutta una serie di rimossi che si stratificavano e costellavano attorno all'evento stesso, quello che nel linguaggio comune della psicologia del profondo si chiama complesso.Freud impostava la sua pratica clinica proprio nello smantellamento per strati di questa struttura, per lui era terapeutico rendere conscio l'inconscio, scavare fino ad arrivare all' "immagine originaria" del trauma.
Per Jung tuttavia questo schema, che Freud modificò suo malgrado nel corso dei suoi studi senza tuttavia mai rinunciare a quell'impostazione di fondo che vedeva l'inconscio mero contenitore di rimossi e sorgente delle forze istintuali, non poteva bastare. Avendo sott'occhio i deliri e le allucinazioni degli psicotici, notò che spesso queste produzioni seguivano schemi molto simili a quelli del mito e della fiaba anche in persone che non potevano avere nessuna fonte "culturale" da cui far derivare queste costruzioni. Egli vide dietro al nucleo del complesso, all'immagine originaria, un altro polo attrattivo che organizzava il rimosso e le sue produzioni in termini simbolici e onirici. Vide l'archetipo, l'archetipo come struttura originaria, come contenuto e struttura del contenuto, un universale psichico comune a tutte le culture e che postulava l'esistenza di una coscienza collettiva e a sua volta strutturata. Inoltre intuì l'esistenza di quella che chiamò "funzione trascendente", che era poi la capacità immaginativa stessa, che elaborando i contenuti di volta in volta acquisiti e organizzati sempre secondo certe "costanti", li riproduceva con una grandissima ricchezza di simboli. Il sogno, il mito, la fiaba potevano essere il teatro di queste rappresentazioni che malgrado la loro varietà potevano sempre ricondursi, a seguito di un'analisi approfondita, ad un singolo "mitologema", a quel "dio" o a quella "dea" che regnano su di uno specifico gruppo di "storie".
Gli dei stessi e la rappresentazione mitologico-simbolica sono, inoltre, l'unico modo in cui gli archetipi sono coglibili, l'archetipo è uno e molti, e i molti s'intersecano l'un l'altro, e s'incarnano negli dei e nei miti che a loro si riferiscono, le loro "intersezioni". Ogni archetipo sfuma nell'altro e molti simboli appartengono a più di un dio o una dea. In particolare essi non sono mai riconducibili alla razionalità, come invece voleva Freud, lerappresentazioni dei simboli e gli dei stessi in quanto tali erano sempre un passo al di là dell'esaurubilità razionale, soprattutto perché nel simbolo si rappresenta quella sintesi dei contrari che non può in alcun modo essererazionalizzata.
Jung in realtà si fermò ad una constatazione meramente fenomenologia, psicologica ed antropologica ad un tempo,il porre la psicologia nel campo dell'irrazionale e al di fuori del campo della "razionalità" gli inimicò tutto il mondo scientifico, malgrado fosse ancora fortemente influenzato da una mentalità empirica. Tuttavia a differenza di antropologi come Frazer che nello studio della mitologia e della tradizione avevano visto confermata una sorta di teoria evoluzionistica della cultura e dello "spirito" dell'uomo, Jung aveva rievocato nello studio psicanalitico e tra le corsie del manicomio, qualcosa di irriducibile, gli stessi dei, ancora vivi e vegeti dietro la sottile coltre della coscienza. La stessa Dion Fortune, una delle più grandi esoteriste del novecento, riconobbe il profondo significato della scoperta di Jung e soprattutto le sue implicazioni che non potevano essere ridotte solo all'ambito psicanalitico, ma che potevano essere estese allo studio dell'occultismo stesso e che traspaiono in saggi come "L'adorazione di Iside"
Sarà J. Hillmann a compiere il passo successivo uscendo completamente dal campo della scienza per trovarsi ad affrontare gli dei, completandone la loro "resurrezione" e scoprendoli vivi non solo nelle profondità dell'anima, ma artefici instancabili del destino umano. "La vana fuga dagli dei" e "Saggio su Pan" sono solo alcuni di questi tentativi di creare una psicologia "politeistica" e pagana. Tuttavia le conclusioni di Hillmann di fronte al risorgere degli dei sono che tutta la psicanalisi può essere decostruita, che tutto un certo tipo di linguaggio pseudoscientifico e psicologico può essere abbandonato di fronte al sorgere dell'Anima, perché la stessa "psicanalisi" non è nient'altro che un mito che in questo caso nasconde il ritorno ad un certo tipo di religiosità. E' vero che soprattutto nei primi lavori anche nel lavoro di Hillmann come in quello di Jung gli dei sembrano incarnare l'archetipo come struttura di un processo mentale, tuttavia si deve anche pensare su quale terreno minato si sono dovuti mettere in cammino, sempre in bilico tra l'esigenza di dare un senso quantomeno "logico" se non scientifico al loro lavoro e aprire invece il campo della scienza all'irrazionale e quindi a un muro impenetrabile per la scienza stessa.
Se il tentativo di Jung di aprire il campo della scienza all'immaginale è in parte fallito, e Hillmann stesso non può che andare oltre la psicanalisi per toccare certi argomenti, la psicologia analitica proprio con questa apertura, che è ad un tempo stesso una rinuncia a se stessa per dischiudersi a qualcosa di "altro", ha contribuito non solo a far rivivere gli dei come parte di una tradizione culturale e artistica che ci appartiene quasi "geneticamente", essi hanno rievocato gli dei vivi, quelli a cui l'uomo non può sottrarsi, gli dei della nostra natura.
Il passo da compiere qui è breve, se la divinità si manifesta infatti sempre e comunque attraverso la testimonianza umana tutto ciò che ci circonda è pregno di questa manifestazione perché frutto di quel rapporto personale che noi intratteniamo col cosmo di cui facciamo parte.
L'archetipo è la testimonianza che la natura esteriore è la natura profonda interiore di ognuno di noi, che la Luna che solca i cieli solca anche le nostre notti interiori e con noi è "viva", mentre rimane insoluto l'enigma se siamo noi a renderla viva o sia lei a vivificarci.
Nei boschi possiamo scorgere Pan, ma Pan corre anche dentro di noi, e a Pan noi dobbiamo "sacrificare", altrimenti il Dio ci si rivolge contro. Tuttavia la sua azione anche quando è "contro" di noi è un messaggio e una strada verso il riavvicinamento alla sua essenza. Quando un Dio ci abbandona invece allora comincia la morte e non la morte paradigma di rinascita, ma la morte come annullamento. Allontanandoci dagli dei abbiamo potuto allontanarci dalla natura, ma ora paghiamo caro il prezzo di questo allontanamento e non certo solo in termini psicologici. Noi distruggiamo la terra perché non la sentiamo più divina, ma al contempo distruggiamo noi stessi e non solo in termini oggettivi, ma in particolare in termini soggettivi.
Ogni foresta che muore è qualcosa che muore anche dentro di noi, ogni fiume lago o mare che muoiono, muoiono dentro di noi. Perché la natura esteriore è anche quella interiore e tutto è interconnesso, mondo reale e mondo immaginale in un'unità indissolubile. Ed è questo in ultima istanza il messaggio di una certa psicologia del profondo. Resta così valida la preghiera di Socrate a Pan, anzi acquisisce un senso nuovo:
"O caro Pan e voi altre divinità di questo luogo, datemi la bellezza interiore dell'anima e, quanto all'esterno, che esso si accordi con ciò che è nel mio interno."
L'accordo tra l'esterno e l'interno è il patto con gli dei che ognuno di noi suo malgrado è chiamato a rispettare, quasi una mistica pagana irrinunciabile perché scritta a fuoco dentro di noi.

Kronos