Il guerriero iniziatico
nella tradizione marziale indoeuropea

“Essi… partirono senza cotte di maglia
di ferro, ed erano frenetici come dei cani,
o dei lupi; addentarono i propri scudi
ed erano forti come orsi o cinghiali;
uccisero degli uomini, ma né il fuoco
né il ferro potevano fare loro del male;
questo è ciò che la gente chiama il furore dei forsennati.”

(Ylinga Saga)


Oggetto di questo articolo è una classe speciale di guerrieri iniziatici la cui esistenza è attestata in molte culture appartenenti a popolazioni di ceppo indoeuropeo. Fondamentali per la trattazione di questo argomento sono stati gli studi di G. Dumezil con il suo metodo comparativo, su cui è necessario soffermarsi prima di procedere all’esposizione.
L’opera di Dumezil non ha preteso di resuscitare la religione degli indoeuropei come vissuta nei tempi preistorici, si è accontentata piuttosto di delineare lo schema concettuale delle società collegate tra loro nello sviluppo della storia. Nella civiltà indoeuropea il nostro autore trova una struttura sociale articolata in tre funzioni. Queste funzioni sono attività fondamentali e indispensabili per la vita normale della comunità. La prima funzione, quella del sacro, regola i rapporti fra gli uomini sotto la garanzia degli Dei, determina il potere del re, inseparabile dalla manipolazione delle cose sacre. La seconda funzione, quella relativa alla forza fisica e alla guerra, interviene nella conquista, nell’organizzazione della società e nella sua difesa. La terza funzione ricopre un vasto ambito, quello della sussistenza degli uomini e della conservazione della società: fecondità animale ed umana, nutrimento, ricchezza e salute.
Dumezil ha dimostrato che la società indoeuropea era governata in profondità grazie ad una mentalità fondata su questa struttura trifunzionale. Tuttavia è necessario sottolineare che l’ideologia tripartita, nella vita delle diverse società indoeuropee, non si accompagnava necessariamente ad una divisione tripartita reale; essa può, là dove è riconosciuta, essere soltanto un ideale e nello stesso tempo uno schema per interpretare e analizzare le forme che garantiscono il corso del mondo e la vita degli uomini.
Ora, tornando all’oggetto di questo nostro articolo, possiamo notare che nella tripartizione indoeuropea la seconda funzione (guerriera) è occupata da un dolo Dio (vedi Thor, Indra ecc.). Attraverso la comparazione di fonti epiche diverse come quelle rappresentate dal poema indiano del Mahabbarata, con quelle provenienti dalla tradizione avestica e scandinava, emerge un dato molto interessante; infatti è possibile notare come la funzione guerriera fosse ricoperta prima della dispersione delle popolazioni indoeuropee – ed in India in tempi ancora pre-vedici – da una coppia di divinità.
Così abbiamo nella tradizione indo-iranica Vaju affiancato a Indra, in Grecia Ercole ed Achille, nella tradizione nordica Odino e Thor. Ora, esaminando più attentamente questi dati è possibile constatare come queste divinità corrispondano a due tipologie di guerrieri che nella tradizione epica troveremo costantemente affermati. Cominciando dal Mahabbarata, “La Grande Storia dei Discendenti di Barata”, abbiamo due dei cinque fratelli Pandu, Bhima e Arjuna che sono le trasposizioni umane del Dio Indra e del Dio Vayu. Bhim (detto anche “Ventre di lupo”) opera per lo più con la mazza, senza arco né corazza, con la sola forza. Colosso, ed anche rapido come l’uragano, ha come risvolto di questo privilegio una sgradevole brutalità, una grande difficoltà a dominare le proprie collere. Come guerriero Arjuna si distingue da Bhima, moralmente ma anche tecnicamente: non è il combattente nudo, ma il combattente coperto di corazza (cotta di maglia) e armato. Non è neppure, come Bhima, il combattente solitario: è invece il guerriero dell’esercito ed incarna, nella sua purezza e complessità, l’ideale Ksatriya, in cui si conciliano la forza ed il rispetto del dharma (destino) proprio del suo Varna (casta). Nella tradizione germanico-scandinava troviamo la tipologia sopra esposta concretizzatasi, sul piano epico e nella realtà, nel modello del guerriero incarnato da Sigfrido (corrispondente dell’indiano Arjuna) e nei guerrieri/belva di cui sono piene le fonti epiche e la stessa cronaca. I guerrieri/belva della tradizione nordica erano, alla maniera di Bhima, animati da un coraggio che potremmo definire “demoniaco”.
Questo tipo di guerriero lo troviamo anche nei poemi omerici, là dove ci presentano uno speciale eroe, che in genere combatte isolato e i cui exploit lo rendono quasi pericoloso per i suoi stessi alleati. È questo l’Eroe – Daimon il cui esempio più caratteristico nell’Iliade è costituito da Diomede. I latini conoscevano bene questi guerrieri animati da un coraggio irriflessivo, sonnambulare, divino/ferino che definivano “Furor”.
Negli ambienti culturali germanici e celtici riscontriamo un analogo concetto, nei termini di “Wut” e di “Fearg”, i cui esempi epico-mitici sono nella saga norrena di Odhin, cioè Wotan (il cui nome ha appunto a che fare col concetto di Wut), e nei canti celti dell’Ulster Chuchulainn. Il Wut s’impadroniva del guerriero germanico e lo trasforma in una specie di belva: difatti di quelle culture esistevano confraternite di “guerrieri-lupo” (Ulfhednar) e di “guerrieri-orso” (Berseker). Il carattere iniziatico di queste confraternite era legato al sistema magico con il quale si otteneva una sorta di trasformazione in belva, collegata ad un insieme di credenze relative all’acquisizione rituale dell’invulnerabilità (insensibilità al dolore; completa disinibizione rispetto all’istinto di conservazione). Il Wut era una sorta di trance che si otteneva mediante varie tecniche: ad esempio l’uso di alcuni guerrieri celti di combattere nudi, oppure l’uso, diffuso fra le cerchie di guerrieri germanici, d’indossare oggetti (anelli, catene) o indumenti ricavati dalle pelli dei loro animali totemici, capaci di provocare una metamorfosi belluina. La cornaca storica ci “rimanda” molte testimonianze su queste tipologie di guerrieri: Paolo Diacono ci informa di “uomini dalla testa di cane” (cynocephali) che si diceva fossero presenti fra i longobardi e pronti a entrare in battaglia nei momenti cruciali; oppure possiamo ricordare i Gesati presenti nella battaglia di Talamone del 225 a.c.
Una stupenda testimonianza di questi guerrieri ci viene dal Nibelungenlied quando assistiamo alla scena nella quale guerrieri burgundi devono il sangue degli uccisi.
Secondo l’interpretazione del poeta tedesco e cristiano quanto accaduto sarebbe un semplice ripiego contro la sete, quando in realtà si può intendere come un rito nel quale l’assunzione del sangue (simbolo bipolare di vita e morte) del nemico ucciso questi guerrieri-iniziatici si impadronivano della forza del morto. Ma esaminiamo più da vicino queste tipologie guerriere anche attraverso l’ausilio di fonti epiche. Indossare una “camicia di pelle d’orso” era segno distintivo del Berserker, questo era il simbolo indicante che il Berserker poteva attingere alla forza dell’orso. Il “potere dell’orso” era conquistato durante l’iniziazione dell’aspirante Berserker. Hrolf Saga Kraiki ci racconta che, fra le varie prove, il Berserker doveva uccidere l’immagine di un animale che vegliava nella sala reale, per poi bere il suo sangue e assimilare il potere della belva a quello del guerriero. Al Berserker era attribuito il potere dell’Hammkammr, ovvero del cambiamento di forma. Questo cambiamento poteva essere diretto, agendo sulla percezione degli altri ed alterandola, o poteva essere un’esperienza esterna al corpo. Queste capacità facevano del Berserker una sorta di guerriero sciamanico che doveva le sue capacità al potere di controllo e di incanalamento che esso esercitava sull’Ond (l’energia vitale dell’individuo).
Una testimonianza di questa capacità ci viene mostrata da Bothrar Bjaork, campione del re di Danimarca Hrolf, che combatte nell’esercito reale sotto forma di un orso, mentre il suo corpo giace addormentato nell’accampamento.
A causa della loro prodezza marziale i Berserker erano i combattenti principali degli eserciti dei re norvegesi precristiani.
Harald Fairhail, un sire norvegese del IX secolo, aveva di Berserker come guardie del corpo. L’Ulfhednar indossava sulla giacca pelli di lupo e, a differenza dei Berserker – che lottavano a squadre – entrava in combattimento da solo. La tradizione dei guerrieri-lupo non è solo scandinava. A Radnor, la figlia di un principe celtico gallese mosse guerra ai suoi nemici sotto forma di un lupo. In un libro irlandese del XII secolo – “The wonders of Ireland” – si afferma: “Ci sono lacuni uomini della razza celtica che hanno un potere meraviglioso ereditato dai loro antenati: per un’arte maligna, infatti, essi possono assumere a loro piacere la forma di un lupo dai denti aguzzi e taglienti”.
Le tecniche dei Berserker e dgli Ulfhednar erano dense di pericoli, specialmente per i non iniziati. Ne viene riportato un esempio nella Volsunga Saga. Gli eroi Sigmund e Sinfyatl incontrano per caso nella foresta due uomini addormentati che portano due anelli magici d’oro. Sopra di loro sono sospese due pelli di lupo, delle quali si spogliavano ogni quinto giorno e che poi indossavano nuovamente per mezzo degli anelli. Sigmund e suo figlio indossano le pelli di lupo ed acconsentono a seguire certe regole di combattimento: “Parlavano la lingua dei lupi, entrambi capivano quel modo di parlare…Fecero un accordo in base al quale ciascuno dei due avrebbe avuto la possibilità di assumere sette uomini, ma non di più”. I due volsung, indossate le pelli di lupo, in modo incontrollabile si trasformano in fiere e uccidono indiscriminatamente finché non riescono a togliersi le pelli e a bruciarle. Molto probabilmente il linguaggio del lupo, cui fa riferimento la Volsunga Saga e l’antico scritto norvegese Hrafnsmal (dove si legge: “I Berserker abbaiavano… Gli Ulfhednal ululavano…”), può essere una forma di richiavo simile al Kiai delle arti marziali orientali, che ha l’effetto di abbassare momentaneamente la pressione sanguigna degli avversari, consentendo di colpire in maniera più efficace il nemico.
Le confraternite dei Berserker e degli Ulfhednar con i loro corrispettivi celtici, indiani, latini e greci sono l’antica testimonianza di un passato in cui i nostri antenati ancora liberi dalla mortificazione cristiana erano così vicini al “Divino” da intendere la guerra come esperienza ascetica al fine di trascendere la propria condizione umana.

Mircea