Centro Studi Albero del Mondo. L'INCUBO di Heinrich Füssli
Heinrich Füssli nasce a Zurigo il 6 febbraio del 1741, città che lascerà definitivamente all'età di trentotto anni, nel 1779, per stabilirsi a Londra, città che gli tributò, col passare degli anni, sempre più grandi riconoscimenti artistici. Importante per la sua prima formazione è la figura del padre, Johann Caspar (1706 - 1782), pittore dilettante e collezionista che pubblicherà una storia dell'arte svizzera che attirerà l'interesse del giovane Heinrich. In seguito, formerà il suo gusto e educherà la sua sensibilità grazie allo studio della filologia classica. E' poi per merito dello studioso Johann Jacob Bodmer, conosciuto attraverso le amicizie del padre, che si avvicinerà alle letture epiche nordiche, in particolare dei Nibelunghi, e di quegli autori dai quali si lascerà ispirare nelle sue opere future, come: Omero, Dante, Shakespeare e Milton. Avendo studiato teologia, intraprende questa breve carriera come ministro zwingliano. La sua sensibilità lo porta presto a schierarsi pubblicamente con fiero impegno politico, ed è a causa di un libello rivolto contro l'operato della pubblica amministrazione, che viene allontanato da Zurigo. E così, dal 1763, comincia ad intraprendere un viaggio in Europa che ben presto lo porterà anche in Italia. Nel 1764 si reca per la prima volta a Londra, e nel 1766 a Parigi. E' datata 1770 la sua partenza per l'Italia, il famoso viaggio italiano alla scoperta dei tesori della nostra arte, che in passato ogni artista doveva compiere ai fini di studio. Era un viaggio necessario per conoscere dal vero i capolavori del Rinascimento e del Barocco che altrimenti erano conosciuti all'estero unicamente attraverso la pubblicazione di immagini in bianco e nero: stampe calcografiche e xilografie. In Italia si tratterrà a lungo, grazie al finanziamento di un generoso banchiere suo amico, e dopo aver toccato le città di Venezia, Genova e Firenze, raggiungerà finalmente Roma. A Roma studierà l'opera di Michelangelo, restando profondamente colpito dagli affreschi della Cappella Sistina. La sua sensibilità verso la rappresentazione anatomica deve infatti tantissimo a questo suo amore per Michelangelo, come è possibile riscontrare in molte delle sue opere. Nel 1779 si trasferisce definitivamente a Londra, dopo aver salutato per l'ultima volta Zurigo, la sua città natale. Nel 1780 conosce William Blake, del quale diventa amico, e un anno dopo, nel 1781, esegue L'Incubo, il suo primo grande successo e del quale eseguirà varie repliche. La sua carriera procede con successo: dal 1786, insieme ad altri artisti lavora alla "Shakespeare Gallery", un ciclo di dipinti ispirati dalle opere di Shakespeare, il 30 novembre 1788 è eletto membro associato della Royal Accademy, per cui dipinge il quadro "La lotta di Thor con il serpente di Midgard". Nel 1816 fu nominato da Canova membro della romana Accademia di San Luca; nel 1818 finì di scrivere gli Aforismi iniziati nel 1788. Morirà il 16 aprile 1825 a Putney Hill.

Heinrich Füssli nasce artisticamente in seno alla spinta romantica che anima la seconda metà del '700 europeo e in particolare inglese. A questo unisce una salda formazione classica, ottenuta da approfonditi studi della plastica soprattutto michelangiolesca, dalla lettura di Winkelmann, di cui il padre dello stesso Füssli era amico, e da un prolungato studio dell'architettura classica. Si trasferisce quindi definitivamente a Londra, di cui respira tutto l'influsso romantico e completa la sua formazione sull'ammirazione e studio di opere "sognanti", ma contemporaneamente "intagliate" sulla luce, come quelle di Callot, Blake e Bodmer. Il suo percorso artistico si unisce a un saldo e radicato interesse per la letteratura, da cui ottiene una pittura piena di poesia, sempre emotiva, caratterizzata da forti contrasti chiaroscurali. Emblema di questa sintesi sono le molte opere "dedicate" alla saga dei Nibelunghi(1), al Macbeth e a Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. Immagini istantanee, in cui una luce gialla e abbagliante improvvisamente squarcia il buio e sorprende "personaggi" dalle tinte tenui e cineree, come contornati da un alone di mistero: questa è per il pittore la massima sintesi, come lui stesso la chiama, la "pittura poetica". Indagare l'irrazionale, il tentativo e il fine del romanticismo, cogliere il sentimento, l'attimo, in Füssli è portato oltre dalla capacità di rendere espressivi il paesaggio, la luce, il gesto.
Massima espressione dell'irrazionale umano è l'Incubo, che per la prima volta Füssli rappresenta materializzato e che trova vasta eco fra gli artisti successivi.
Gli portò inoltre grandi elogi e succeso in Inghilterra, e fu il tema di altre sue opere: oltre alle cinque riproposizioni de "L'incubo", il quadro "L'incubo abbandona il giacilio di due fanciulle dormienti", "Crimilde vede in sogno la morte di Sigfrido", appartenente al ciclo di dipinti tratti dalla narrazione dei Nibelunghi.


"L'incubo"

All'interno della scena compaiono tre figure contornate da broccati di un colore rosso tenue e scuro da cui si staccano con toni coloristici diversi. Fortissimo è il gioco di luce. Füssli abbandona il chiaroscuro per prediligere un'unica fonte di colore che accende i corpi che colpisce di una luce gialla e abbagliante. Centrale, sdraiata, una donna vestita di bianco giace su un piano, con la testa e le braccia che cadono verso il basso. Dorme. Seduto sul suo petto un nano(2)che guarda lo spettatore. Dietro, in secondo piano (sulla sinistra di chi osserva), coperto nella sua parte inferiore dalle gambe della donna, spunta un cavallo nero dallo sguardo spettrale e apparentemente cieco.

Attraverso la figura del nano che preme sul petto della donna, in preda ad un incubo appunto, Füssli fa riferimento alla raffigurazione dell'incubo. La manifestazione dell'incubo durante il sonno è stato infatti tradizionalmente interpretato come l'azione o la presenza di una personalità demoniaca.

In Grecia la nozione dell'incubo era essenzialmente legata allo stato febbrile: i demoni della Febbre, in particolare Efialte, soffocavano i dormienti. La mitologia racconta che Efialte (tradotto letteralmente "colui che balza sopra") fu strangolato da Eracle dopo aver soffocato il padre. In particolare troviamo traccia di questo episodio in una lamina bronzea a rilievo proveniente da Olimpia del IV sec. a.c. in cui Eracle lotta con un orrido demone. Una commedia di Frinico, intitolata appunto Ephialtes, evocava presumibilmente la lotta del demone con Eracle.

In età romana (incubus), esisteva un demone Incubus, spesso identificato col dio Fauno, che possedeva le donne nel sonno: la sessualità, quindi, e non più la morte, la sua caratteristica. Caratteristica che l'incubo conserva generalmente in tutte le manifestazioni successive.

Risale all'epoca ellenistica, invece, la raffigurazione dell'incubo (detto successivamente succubo, cioè versione maschile dell'incubo) come di una raffigurazione femminile alata che domina un uomo in sonno ai piedi di un albero (medaglione proveniente da Begram - Museo di Kabul, e lucerna fittile di Kallistos - Museo di Rennes).

Risale invece nuovamente allo scrittore latino del II secolo d.C. Lucio Apuleio di Madauro una concezione che influenza notevolmente le successive credenze medievali. Lucio Apuleio parla dei demoni incubi nel suo libro "De deo Socratis" e li definisce come spiriti abitanti fra la terra e la luna.

Si veda ad esempio la teoria del mago Maugantius sul concepimento di Merlino(3): "Nei libri dei nostri filosofi, e in molte grandi storie, ho letto che molti uomini hanno avuto la stessa origine. Perché, come Apuleio ci racconta nel suo libro sul Demone di Socrate, tra la luna e la terra abitano quegli spiriti, che chiameremo incubi. Costoro sono per natura in parte uomini, e in parte angeli, e ogni qual volta essi vogliono assumono sembianze umane, e giacciono con le donne. Forse uno di loro apparve a questa donna, e concepì in lei quel giovanetto."

In epoca medievale e fino al settecento inoltrato l'incubo assume connotazioni demoniache. Definito solitamente come un diavolo che assumeva sembianze mortali rianimando un corpo o usando carne umana, stuprava donne nel sonno oppure insinuava in loro desideri che soltanto lo stesso incubo poteva soddisfare. Da queste unioni potevano nascere figli. Gemelli, bambini deformi, erano visti come possibili figli del diavolo, come spesso maghi (mago Merlino, appunto) e streghe.

L'incubo compare in molti studi cari all'Inquisizione, che continuamente infervoravano la caccia alle streghe, questa volta come possedute da incubi e succubi. Ancora nella metà del settecento per esempio, Ludovico Maria Sinistrari, presidente del Tribunale dell'Inquisizione, scrive "Della demonialità e degli animali incubi e succubi".

Nel 1830 Robert Mnisch, sulla scia di quelle persecuzioni, nel suo libro "The philosophy of Sleep", così definisce l'incubo: "una mostruosa megera che gli si acquatta sul petto, muta, immobile e malevola; un'incarnazione dello spirito maligno, il cui peso intollerabile gli comprime il fiato facendolo uscire dal corpo e il cui sguardo fisso e letale, incessante, lo pietrifica d'orrore e gli rende insopportabile l'esistenza stessa".

Infine, in molte società contadine sopravvive ancora oggi la figura dell'incubo come demone invisibile che, seduto sul petto della vittima dormiente, le toglie il respiro e la tormenta con sogni orrendi.

Particolare curioso è che per questi secoli (dal medioevo in poi) si è ritenuto altrettanto in pericolo di fronte all'incubo il cavallo. Sembra tuttavia che l'utilizzo di una pietra appesa in alto nelle scuderie li potesse proteggere dal pericolo. In Scozia era invece uso tenere lontano l'incubo dagli animali attaccando rami di sorbo o di caprifoglio allo stipite dell'ingresso dalle stalle.


L'altra figura presente all'interno del quadro è proprio un cavallo, o meglio una cavalla nera. In lingua inglese l'associazione tra i termini cavalla "nera", o meglio della notte, e incubo salta immediatamente agli occhi. Night(notte) e mare(cavalla) compongono la parola nightmare(incubo).

Ma la presenza del cavallo non si lega presumibilmente unicamente a un "gioco di parole", e nemmeno unicamente alla vulnerabilità del cavallo di fronte all'incubo , tanto che nella rappresentazione "L'incubo abbandona il giaciglio di due fanciulle dormienti" il cavallo continua a essere raffigurato, ma questa volta nell'atto di volare fuori da una finestra con in groppa lo stesso demone.

La simbologia del cavallo è infatti tradizionalmente attestato presentando una duplice valenza tellurica e solare(4)ed infera e celeste visto il carattere impetuoso del cavallo che richiama le forze datrici di vita e di morte. Il cavallo è rappresentato in ambito nordico dalla runa EHWAZ, dalla radice indoeuropea EKWO- , che porterà al latino equus.

Il cavallo nero appare spesso come epifania di forze sotterranee: presso i Germani la giumenta Mahrt è un demone tremendo (si ritrova qui la coincidenza della cavalla e del demone) come in Irlanda il cavallo Morrigain (Morrigain tradotto in inglese è "nightmare", in italiano "incubo").

Sono presenti spesso anche cavalli bianchi che terrorizzano chi li incontra: come la Blanque Jument de Pas-de Calais o il Drac che assale i viandanti gettandoli nelle acque del Doubs in cui affogano. In questi casi l'apparizione del cavallo è connessa alla valenza distruttiva dell'acqua che distrugge ogni opera umana. Appartenente al folklore della Germania centrale e settentrionale è la Caccia Selvaggia o Orda Furiosa che si inserisce appieno nel contesto del simbolismo infero del cavallo. Qui infatti la schiera infera dei morti capeggiata da Odino percorre terra e cielo facendo risuonare grida di guerra e frastuono di armi. In questo contesto il cavallo è simbolo del furore odinico.

Ancora nella tradizione medievale il demonio si metamorfosa in cavallo per rapire il re ostrogoto Teodorico. Nel folklore medievale francese si trova per esempio la Chasse Arthur, cavalcata notturna di dannati e demoni su cavalli spettrali all'inseguimento di una preda. Si veda anche la Chasse Gallery, altro tipo di caccia feroce che ricorda il nome del visigoto ariano Alarico.

Altre opere
"La lotta di Thor con il serpente di Midgard" (1790)
Tratto dalla saga dei Nibelunghi.
 

"Le tre streghe" (1782/83 - Zurigo, Kunsthaus)
Ispirato al Macbeth di Shakespeare atto I, scena III, versi 39-47, quando Banquo e Macbeth incontrano le streghe sulla piana.


"L'incubo abbandona il giaciglio di due fanciulle dormienti" ( 1793 - Zurigo, Muraltengut)
In questa scena una delle fanciulle dormienti si sveglia, spossata dal suo incubo, del quale si percepisce la fisionomia in groppa alla cavalla notturna in fuga dalla finestra, all'albeggiare del sole. Il sogno angoscioso in questo caso ha anche un risvolto carnale ed erotico.


"Titania sveglia" (1793/94 - Zurigo, Kunsthaus)
Ispiarto al Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, la scena rappresenta il momento in cui la fata Titania, circondata di fate e folletti, si sveglia al suono del canto di Bottom, con la testa d'asino, per il quale prova subito un amore irresistibile. Ciò era dovuto all'incantesimo di Oberon.




Note
(1) Perduto l'originale, il poema de "I Nibelunghi" è stato tramandato in molti manoscritti (30 circa) e rifacimenti che giungono fino al XV sec. I manoscritti principali sono quello A di Monaco, quello B di della biblioteca del convento di San Gallo, e quello C, il più ampio, conservato a Donaueschingen. La prima edizione critica uscì nel 1826 a cura di Karl Lachmann. Le rivisitazioni dell'epos furono numerose: "Sigfrido dalla pelle di corno" di Hans Sachs del 1557, la "Mascherata romantica" di Geothe e la trilogia poetica "L'eroe del Nord" di Fouqué del 1810, i "guerrieri di Helgeland" di Ibsen (1857), la "Storia di Sigurd il Volsungo e la caduta dei Nibelunghi" di Morris del 1876 e la ballata de "I Nibelunghi" di Agnes Miegel del 1907, senza dimenticare la fondamentale tetralogia wagneriana ispirata alla saga dei Nibelunghi.

Nei Nibelunghi si fondono diversi cicli poetici innestati sulla distruzione da parte di Attila del regno dei Burgundi. La parte più antica, quella che narra le gesta di Sigfrido e le vicende dei Nibelunghi, è strettamente collegata ai canti dell'Edda. Il poema narra di Sigfrido, principe del Niederland, che sente parlare delle bellezza di Crimilde. Benché l'impresa sia difficile, Sigfrido si reca a Worms da Crimilde, dove, per favorirlo di fronte ai burgundi, il ministro Hagen lo descrive come il possessore di un tesoro sottratto ai Nibelunghi e custodito dal nano Alberico, e come invulnerabile essendosi bagnato del sangue di un drago. Sigfrido ottiene la mano di Crimilde a patto che Brunilde, regina d'Islanda, sposi Gunther, fratello di Crimilde. In una sfida Sigfrido, sostituitosi a Gunther e aiutato da un anello e da un cappuccio dai magici poteri, vince le prove, e la costringe alle nozze. Celebrate le doppie nozze, però, Brunilde si rifiuta a Gunther, che ricorre all'aiuto di Sigfrido. Egli sottomette Brunilde togliendole l'anello magico che la rende così forte. Brunilde invidia Crimilde e durante una festa si scontrano svelando l'episodio in cui Sigfrido ha sottomesso Brunilde. Quest'ultima, disonorata, chiede a Hagen, vendetta. Hagen uccide Sigfrido e sottrae a Crimilde il tesoro di Sigfrido e lo nasconde sul fondo del Reno. Crimilde si vendica e sposa Attila per avere l'esercito degli Unni. Nonostante le premonizioni di Hagen e Ute (rispettivamente fratello e madre di Crimilde), i Burgundi si dirigono, invitati, alla corte di Attila. Hagen uccide il figlio di Crimilde e Attila durante un banchetto, si scatena nella reggia una battaglia in cui Unni e Burgundi escono distrutti. Tra i Burgundi sopravvivono Hagen e Gunther, fatti prigionieri di Teodorico (nei Nibelunghi vassallo di Attila) che li consegna a Crimilde. Ella, al rifiuto dei due fratelli di rivelarle dove è nascosto il tesoro di Sigfrido, li uccide uno dopo l'altro con la spada di Sigfrido. Ildebrando, scudiero di Teodorico, che ha assistito alla scena, la uccide.

(2)Le caratteristiche somatiche dell'Incubo che Füssli raffigura cambiano progressivamente e sono oggetto del continuo studio fra le cinque diverse riproposizioni dell'opera.

(3)Historia Regum Britanniae (VI, 18) di Goffredo di Monmouth.

(4)Fra i Germani il cavallo era associato al culto solare ed era fido compagno di re ed eroi.